Territorio


Camminare alla scoperta di Bolbeno...

Specifichiamo che tutte le passeggiate proposte sono percorribili anche durante la stagione invernale, munendosi di calzature adeguate.

Da Bolbeno al Santuario Madonna del Lares (durata: 30’c.a): Iniziamo la nostra passeggiata dal centro di Bolbeno. Seguiamo la strada che costeggia la Pensione Cernuschese in direzione del Santuario Madonna del Lares… La strada sale dolcemente attraverso il bosco fino a raggiungere, dopo 2 km circa, il capitello di Canzane. A questo punto girando a sinistra si raggiunge la radura dove sorge il Santuario.

Dal Santuario Madonna del Lares a Malga Splaz (durata: 50’ c.a.): A questo punto, per coloro che amano passeggiate di mezza montagna, dal crocicchio presso il capitello di Canzane, è possibile imboccare la strada più a monte per raggiungere, attraverso una strada forestale di 3 km, Malga Splaz (detta Malga Bassa), a quota 1200 m.s.l.m.

Da Malga Splaz a Malga Arteson (durata: 20’c.a.): Dal bivio che precede Malga Splatz è possibile raggiungere Malga Arteson (1300 m.s.l.m. ). La prima parte del percorso è costituita sempre da una strada Forestale, mentre nella seconda parte ci si immette in un facile sentiero che in pochi minuti raggiunge la Malga.

Da Malga Splaz a Malga Meda (durata: 1 ora c.a.): Poco dopo Malga Splatz termina la strada forestale e si può imboccare la “Val Larga” attraverso la quale, grazie ad un comodo sentiero, si raggiunge la Malga alta detta Meda, dopo circa un’ora di cammino.
Da Malga Meda gli appassionati potranno davvero sbizzarrirsi: solo per citarne alcuni, attraverso percorsi più o meno impegnativi è possibile raggiungere Malga Gaverdina (nel territorio del Comune di Zuclo) e Malga Stablo (Comune di Tione di Trento e Bleggio Superiore).

Da Malga Arteson ai Prati d’Aprico (durata: 50’ c.a.): Attraverso questo itinerario è possibile in un certo senso chiudere il cerchio, vista la vicinanza della località Aprico con il Santuario Madonna del Lares.
Si tratta di percorrere una dolce strada forestale che dopo circa 4 km ci immette in una splendida radura dove diversi abitanti di Bolbeno amano trascorrere le estati presso le proprie “Ca da Mont”. Si ricorda che qui, sul punto panoramico “Dos Borel” si erge un maestoso faggio plurisecolare (almeno 500 anni) ritenuto il maggiore esemplare delle Valli Giudicarie.

L' acqua, un bene di vitale importanza.

Paesi, baite di montagna, malghe; l'insediamento umano in ogni epoca è stato condizionato dalle risorse idriche.
I cacciatori paleolitici predavano gli erbivori presso gli specchi d'acqua; le più antiche testimonianze della presenza dell'uomo nelle Giudicarie, risalenti al Mesolitico recente (6.000 a.c.) provengono dalle sponde del lago di campo in Val di Daone e dell'area a sud del lago di Roncone.

A partire dai periodi successivi e con l'introduzione dell'agricoltura e dell'allevamento, il legame dell'uomo con l'acqua si è fatto sempre più stretto sia per le esigenze dell'irrigazione dei campi sia per i bisogni del bestiame. Ciò valeva anche per le nostre valli e le nostre montagne, fortunatamente ricche di acqua e di precipitazioni atmosferiche che hanno quasi sempre evitato ai nostri avi la ulteriore fatica di dover bagnare campi, prati e pascoli come invece accadeva in altre zone.

La Fauna, gli abitanti del bosco.

ORSO BRUNO (Ursus arctos)
L'orso bruno è essenzialmente onnivoro, soprattutto vegetariano, anche se non disdegna le carogne. L'alimentazione dell'orso ha un andamento stagionale e varia sia in relazione alle condizioni climatiche sia in relazione allo stato fisiologico dell'animale.
Conduce una vita solitaria e gli unici legami sono quelli che si instaurano fra la madre e il piccolo e fra adulti di sesso opposto, durante il periodo degli accoppiamenti. L'accoppiamento avviene all'inizio dell'estate e dopo una gestazione di circa 8 mesi nascono generalmente uno o due cuccioli che la femmina partorisce in gennaio, durante il letargo. Alla nascita il piccolo pesa appena 500 grammi ed è del tutto inetto ma il suo sviluppo è veloce e presto è in grado di seguire la madre e resta con lei per circa due anni, il periodo necessario per divenire autosufficiente.

CAPRIOLO (Capreolus capreolus)
Il capriolo vive prevalentemente nella boscaglia e nelle foreste di montagna, ma in estate lo si può scorgere anche oltre il limite della vegetazione intento a pascolare con il camoscio; in inverno invece scende sino in prossimità dei centri abitati. Le abitudini e i ritmi alimentari del capriolo sono legati alla struttura anatomica del suo apparato digestivo e in particolare, alla modesta capacità del sacco ruminale. Fra l'essenze maggiormente appetite si annoverano, ove presenti, l'edera, il rovo, il lampone, il sambuco, il mirtillo, il biancospino ma anche il carpino. La femmina di capriolo va in calore fra la seconda metà di luglio ed agosto. In questo periodo i maschi difendono attivamente il proprio territorio Durante l'estro, che dura non più di 36 ore, può accettare l'accoppiamento con più maschi diversi. Curiosamente, poco dopo la fecondazione si verifica l'arresto dello sviluppo embrionale e solo a partire da dicembre la gravidanza riprende con la necessaria continuità. Questo meccanismo è di indubbio vantaggio per le femmine, che in settembre ed ottobre possono ricostituire le riserve di grasso "bruciate" durante il calore; inoltre ciò comporta un'epoca dei parti assai posticipata (fine maggio-inizio giugno), con abbondanza di cibo e assenza di copertura nevosa.

CAMOSCIO (Rupicapra rupicapra)
In primavera ed estate le femmine dei camosci vivono in gruppi anche numerosi, mentre i maschi sono isolati o in piccoli nuclei. Questi branchi sono instabili e in continuo rimaneggiamento: non s'individuano soggetti con funzione fissa di capobranco. In autunno (con l'avvicinamento della stagione degli amori), viene meno la separazione fra i sessi. In questa stagione, per poche settimane, alcuni maschi maturi marcano e difendono attivamente un territorio di pochi ettari, cercando di trattenervi le femmine. Altri maschi vagano alla ricerca di queste, compiendo anche spostamenti di alcuni km dai luoghi di abituale permanenza; in questa stagione è possibile osservare le spettacolari rincorse tra maschi per la difesa del territorio. Il camoscio rientra in una categoria intermedia fra brucatori (capriolo) e pascolatori (muflone); é un buongustaio capace, all'occasione, di accontentarsi e sfruttare al meglio anche le risorse meno appetibili (licheni, aghi di pino). In una giornata tipo si osservano da 2 a 3 periodi di alimentazione (vengono ingeriti ~2,5kg di vegetali), intervallati da lunghi periodi di ruminazione. In estate l'attività nutritiva continua durante la notte. In inverno, oltre a nutrirsi di quanto emerge dalla neve, il camoscio scava per accedere alla flora sottostante.

Leggende sulla flora montana...

La leggenda della Stella Alpina...
Delicatissima è la leggenda della stella alpina narrata dai montanari. Una giovane della valle aveva sposato un montanaro che come tutti quelli del paese conosceva ed amava con tutta l’anima la sua montagna. Saliva spesso verso i ghiacciai per dare la caccia alle marmotte delle quali vendeva poi la pelle ai viaggiatori della città. I due sposi vivevano modestamente dei guadagni di lui, ma poiché si volevano molto bene, erano felici come principi. Un giorno il giovane sposo partì per la montagna ma non fece più ritorno. Invano la moglie lo attese, nessuno lo aveva visto sulla montagna e nessuno sapeva dare notizie di dove fosse andato a finire. Allora la povera sposa, prese sulle spalle il sacco e salì verso il ghiacciaio per vedere di rintracciarlo.
Cercò con l’occhio ansioso nel fondo di tutti i crepacci e scorse ad una ad una tutte le cime e finalmente lo rinvenne. Ma lo trovò morto fra due lastroni di ghiaccio. Allora affranta dal dolore sedette sulla sporgenza della roccia e pianse per tutta la sera e per tutta la notte. All’alba quando s’imbiancò il cielo , i suoi capelli e le ciglia erano coperte di un velo di brina, come una peluria di argento. “Signore” disse la sposa rivolgendo gli occhi al cielo “Io non ho il coraggio di staccarmi da mio marito, lasciatemi sulla balza di questa rupe, perché io possa vederlo sempre nel suo letto di ghiaccio”. Iddio ebbe pietà della sposa innamorata e la convertì nel fiore più caratteristico e più bello delle Alpi, la stella alpina.

La leggenda della Rosa di Natale...
Racconta una leggenda che nella notte di Natale di tanti e tanti anni fa una bambina, che viveva con i genitori in una casetta al limite del bosco, era seduta su una pietra fuori della sua casa e piangeva con tanti singhiozzi e tante lacrime. Una Fatina, che l'aveva sentita piangere, scese accanto alla bimba e le domandò perché piangesse. Piangeva perché avrebbe voluto fare un regalo alla sua mamma che con lei era molto buona, ma erano poveri e non poteva comprare niente da regalarle. La Fatina allora, la prese per mano e la condusse appena dentro al bosco al di la del prato. Battè per terra con il suo bastone magico ed in quel punto nacque una piantina molto bella con le foglie di un bel verde brillante e uno stelo alto sul terreno. Dopo poco tempo dalla cima della piantina spuntò un fiore. I suoi petali erano bianchi con delicate sfumature rosate ed era un fiore molto, ma molto, speciale perché era fiorito nel pieno dell'inverno quando tutte le piante e tutti i fiori dormono sotto la neve in attesa della primavera e del sole. La bambina potè raccogliere un mazzetto di quei bellissimi fiori e li portò alla sua mamma che apprezzò molto il dono e la ringraziò abbracciandola stretta stretta. Quel fiore, da allora e fino ai giorni nostri, fiorì tutti gli inverni nel periodo natalizio e per questo motivo fu chiamato La Rosa di Natale.

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